Estuardo Maldonado, un artista tra Ecuador e Italia


                                          Introduzione

L’arte del Sud America è stata poco analizzata, e a volte sottovalutata, dai paesi cosiddetti “sviluppati”; il poco interesse è stato motivato da diverse cause, la principale può identificarsi nella mancanza di un’arte ben definita, in grado di rappresentare il vasto territorio latinoamericano.

Estuardo Maldonado accanto ad una sua opera
Formas, simbolos y texturas, 1963
Molto spesso si è parlato di un’arte “satellite” dei paesi europei e del Nord America, ma se stati come l’Argentina, il Brasile ed il Venezuela (ed anche il Messico, seppur essendo un paese del Centro America), quelli più ricchi ed evoluti, ma in cui lo squilibrio economico e sociale è stato,ed è tuttora, un problema di notevole entità, hanno cercato di adeguarsi ai nuovi cambiamenti artistici e non, paesi più piccoli ed economicamente più arretrati hanno avuto grandi difficoltà nell’esprimersi.
Uno tra questi paesi è stato l’Ecuador, territorio montagnoso ai piedi delle Ande e della foresta amazzonica.
Erede di un passato glorioso, quello degli Incas, soggiogato per un lungo periodo dal dominio e dalla cultura “presa in prestito” dalla Spagna, l’Ecuador solo nella prima metà del XIX secolo, ottenuta l’indipendenza, cercò di (ri) acquistare un’identità precisa in campo politico, sociale, economico e culturale.
In un primo momento in ambito artistico alcuni pittori autoctoni seguirono l’esempio dei messicani e del loro realismo sociale espresso nei famosi murales, ma nella prima metà del XX secolo ci fu il desiderio di realizzare qualcosa di nuovo, un’arte libera ed indipendente.
Uno tra i realizzatori di quest’arte ecuadoriana autonoma è stato senz’altro il pittore / scultore Estuardo Maldonado.
L’artista, partendo dall’osservazione della flora e fauna ecuadoriana, ha espresso il suo amore verso la natura attraverso quadri di paesaggi e di popolazioni indigene, poi per mezzo della  scultura.
Sostenuto da un mecenate colto ed influente, partì per l’Europa, per Roma, terra di maestri indimenticabili; qui si imbatté in un mondo nuovo, caratterizzato da un turbinio di esperienze ed avanguardie artistiche.
Estuardo Maldonado, sebbene in parte influenzato da questo susseguirsi di stimoli provenienti dal nuovo ambiente, scoprì che interiormente non aveva mai abbandonato la propria terra, ma anzi aveva sviluppato dei “processi di memoria” che lo avevano portato a far riemergere alcuni elementi sepolti della sua identità; aveva bisogno di far trasparire le proprie origini, di sentirsi orgoglioso di discendere dalla civiltà  precolombiana, quella degli Incas, cultura che l’artista seppe far rivivere per mezzo del Precolombinismo, movimento artistico attraverso il quale l’antica arte precolombiana, acquistato un linguaggio contemporaneo, brillava di rinnovato splendore.
Non solo fondatore di correnti artistiche, ma anche capace di adattare la propria creatività a tendenze già definite, Maldonado utilizzò svariati materiali per le sue composizioni, dalla pietra al legno, dagli utensili di lavoro ai diversi metalli; ma fu l’invenzione dell’acciaio colorato a fornirgli più possibilità d’espressione.
Primo nell’usare questo processo chimico di trasformazione, l’artista adoperò l’acciaio per rappresentare le differenti sfumature e sfaccettature di una realtà sempre in evoluzione.
Ma Maldonado andrà oltre; non contento di un mondo scandito dalle tre dimensioni ne cercherà altre si spingerà verso aree dove le leggi fisiche e matematiche tuttora non hanno riscontro e dove il tempo e lo spazio non sono altro che limiti imposti dall’uomo.








Periodo della “Riflessione“ o Precolombinismo, anni ’60


Tav. 30. Estuardo Maldonado
El Toro y el condor, 1960
Nei primi anni ‘60 l’interesse di Estuardo Maldonado si concentrò sullo sviluppo e l’influenza di nuove correnti artistiche europee; le opere del 1960 El toro y el cóndor (tav. 30) e Toro (tav. 31)
si rifacevano al Futurismo di Boccioni, con l’uso sapiente di una linea che morbidamente tracciava i contorni ed i corpi degli animali. Linee che si incastravano tra loro fino a formare un reticolo di piani in sequenza, dove era sottolineato il movimento e la forza in un crescere progressivo.

Tav. 31. Estuardo Maldonado
Toros, 1960
I colori, sia in bianco e nero sia dalle diverse sfumature, non erano mai casuali, ma scelti seguendo un’armonia nelle gradazioni.
Nel 1961 più evidente fu il riferimento a Klee e a Miró; i lavori di quell’epoca erano caratterizzati da schizzi di piccole figurine colorate, da segni elementari ed infantili che ricreavano le atmosfere di giocosi girotondi (Paseo en el campo , tav. 32).

Tav. 32. Estuardo Maldonado
Paseo en el campo, 1960
Attraverso lo studio di Miró acquistò grande importanza anche l’utilizzo dei colori ed il loro accostamento; la linea era sempre nera, a determinare vuoti e pieni, superfici e spazi; si chiudeva su sé stessa e si apriva ad intervalli scanditi ritmicamente.
In quei primi anni romani partecipò a delle mostre collettive: nel 1960 alla Rassegna 10 Artisti Latinoamericani presso la Galleria Babbuino , nel 1961 l’esposizione Giovani Artisti Stranieri a Roma  presso la  Galleria San Luca .
Poco a poco iniziarono a prendere forma i primi simboli preispanici, i pensieri  dell’artista si rispecchiavano  nelle sue espressioni artistiche: sebbene il trasferimento in Italia fu per lui apertura verso nuove tecniche e stili d’arte, una certa nostalgia per la sua terra e la sua cultura iniziò ad intensificarsi.

Tav. 33. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 1, 1961
Lontano miglia e miglia non dimenticò mai la sua provenienza, ma ricercò nella memoria e nei ricordi una possibilità nell’esprimere il proprio passato, la storia da cui discendeva .
In Primitivo No. 1 (tav. 33) segni neri rappresentavano figure biomorfe e zoomorfe di ispirazione  “rupestre“: ogni “graffito“ era racchiuso in un piccolo riquadro, cella, dove i colori chiari dello sfondo mettevano in risalto lo “stile preistorico“ e stilizzato della composizione.

Tav. 35. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 3, 1961

Tav. 34. Estuardo Maldonado
Primitivo No. 2, 1961
Allo stesso modo in Primitivo No. 2 e Primitivo No. 3 (tavv. 34-35) furono riproposti i simboli dell’arte precolombiana: uomini, donne, animali dalle piccole dimensioni, privi di consistenza e spessore volumetrico sembravano esercitare riti magici, sacrifici; un’arte “preistorica“ dalla valenza ultraterrena.
Dato che  in questi anni ci fu un avvicinamento(o riavvicinamento) alle proprie origini , anche quelle più semplici , l’artista realizzò delle opere scultoree come la serie Homenaje al obrero   (Omaggio all’operaio) (tavv. 36-40) e Homenaje a la piedra(Omaggio alla pietra) (tavv. 41-45).

Tav. 36. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965

Tav. 37. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965
Secondo l’artista la pietra era la base della storia, elemento naturale, “ ... è stata un’inseparabile compagna nella lotta dell’uomo ...nessuno aveva mai dedicato un omaggio alla sua esistenza “; così Estuardo Maldonado la fece diventare protagonista di un numero di opere circoscritte: la pietra come origine, come elemento esistente in natura, ma modificato (e modificabile) grazie alla presenza dell’uomo.

Tav. 38. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965
L’operaio indicava l’umile figura di un uomo lavoratore: artigiano, fabbro, falegname; gli  utensili e gli  arnesi da lavoro (seghe, zappe, ruote, pialle)  furono usati dall’artista per produrre delle sculture “meccaniche“, dei “readymades“  di origine industriale; dove non era più importante distinguere l’oggetto utilizzato né la sua funzione primaria ma l’opera nel suo insieme, da attrezzi quotidiani a “fondamenti artistici“, indispensabili per la creazione di queste composizioni.

Tav. 40. Estuardo Maldonado
Composición con sierras, 1960-1965

Tav. 39. Estuardo Maldonado
Serie Homenaje al Obrero, 1960-1965
Forse gli “ispiratori” di questi assemblages furono Marcel Duchamp e Jean Tinguely  (con più probabilità il lavoro dell’italiano Ettore Colla); Maldonado tuttavia intese non solo rappresentare i meccanismi interni di un prodotto ultimato ma rendere omaggio all’impegno e alla  fatica dei lavoratori; secondo la critica ecuadoriana María Fernanda Cartagena: “L’artista si identifica con loro come artista, come creatore e ci fa riflettere sui concetti di lavoro, sforzo e produzione.“[i]
Dal 1960 al 1963 furono sviluppate le due serie , pressoché contemporaneamente: le opere di Homenaje a la piedra erano quindi  in pietra e  si basavano sulle molteplici possibilità espressive di tale minerale.

Tav. 41. Estuardo Maldonado
La piedra con sus grabados de oro, 1965
Mai levigate, ma dai bordi irregolari, le pietre avevano forme e dimensioni molto diverse, con sfere dorate disegnate sulla superficie o segni tribali scolpiti, in equilibrio su uno dei lati o poggiate su dei basamenti, in sviluppo orizzontale o verticale.
A volte erano presenti elementi geometrici a coprire la parte esterna, mentre altre volte la pietra era tagliata da fessure sempre lineari che tendevano ad evidenziare il volume e lo spessore esistenti.

Tav. 42. Estuardo Maldonado
Ziggurat, 1965
Ziggurats e macigni imponenti incorporavano spazi vuoti che si alternavano a convessità porose; disegni di schegge, angoli, frecce appuntite erano realizzati sulle superfici così da creare dei pattern visivi di forte impatto.
Pietre colorate o grezze, non più semplici elementi primitivi privi di qualsiasi valenza significativa ma arricchiti di nuovi connotati artistici e decorativi.
I prodotti della serie Homenaje al obrero avevano diverse fattezze: simili ai meccanismi interni delle macchine, differenti oggetti uniti tra loro in maniera mai casuale, composizioni minimaliste che acquistavano sembianze quasi umane(un vago ricordo delle sculture etrusche e dei lavori di  Giacometti), materiali di carattere industriale trasformati in creazioni artistiche.
Spesso si distinguevano gli utensili usati, altre volte erano lavorati e raggruppati ad incastro in modo da creare un continuum difficile da decifrare.
Alcune opere erano dipinte con i colori primari, altre rimanevano del loro colore originario: grigio o rame, che alla presenza della luce determinava uno scintillio particolare.
La scelta dei diversi elementi si basava su criteri di equilibrio; il prodotto doveva avere una corrispondenza sui diversi lati, nessun lato poteva essere né troppo pesante né carico di elementi: l’insieme doveva possedere una statica stabilità.
Anche dal punto di vista pittorico il percorso seguito dall’artista continuò a gravitare all’interno dell’antico mondo precolombiano: simboli preincaici si ripetevano come tessere di mosaico, colori caldi  della terra natale.
Nel 1962 espose i suoi lavori in  una mostra personale alla Galleria Artisti d’Oggi , sempre in quel periodo  Maldonado scoprì ed impiegò una nuova tecnica: l’encausto [ii], così come l’utilizzo di lamine d’oro, che  rendevano l’opera di fattura più antica.
Di quell’anno Composición No. 2 – A, ad encausto (tav. 46) .
Tela dalle grandi dimensioni con sottili geroglifici rinchiusi in piccoli riquadri: grande varietà di segni, alcuni di tipo geometrico, altri di carattere naturale – vegetativo.
La superficie era compatta, omogenea sebbene scandita in intervalli irregolari da incomprensibili  “microcosmi “, mondi a parte , poeticamente tracciati.
Il critico Nello Ponente dichiarò: “Il segno ci indica una traccia, a volte una linea, senza riferirsi ad un tempo o anno o spazio preciso(...) anche il senso ritmico si succede attraverso piccole zone, riquadri interamente colorati. Come per uno sviluppo di varie intensità strutturalizzate, interrotte da pause appena indicate.” [iii]
In Imagen Cósmica No. 1  (tav. 47) la presenza dell’encausto e dell’oro  serviva a mettere in risalto le diverse gradazioni dei tasselli  secondo un’alternanza studiata ed armonica.
L’opera era circolare; il punto focale era al centro da cui partivano raggi contenenti le geometriche sezioni in grandezza crescente.
La circonferenza era contornata da una corona rossa su uno sfondo nero, “una specie di figurazione stellare ...La sequenza dei segni è incisa da forme cosmiche che si uniscono ad essa e la rinforzano“. [iv] La composizione si rifaceva agli studi astronomici già  introdotti nelle popolazioni precolombiane: lo stesso artista, con quest’opera  e con altre successive, sviluppò delle serie legate a questo  campo di ricerca, Imagen Cósmica , appunto e Constelaciones (tavv. 48-49).
Arte come segno, omaggio all’antichità e non solo: nei lavori era presente un’evoluzione del geroglifico preincaico, una nuova visione moderna del simbolo, partendo da elementi costruttivisti rappresentati dall’uruguayano Joaquín Torres García.
Artista e teorico, Torres García nacque da una famiglia uruguayana ma trasferitasi in Europa, a Barcellona, successivamente si stabilì a Parigi , dove formulò le sue teorie artistiche.[v]
Negli anni ’30 definì il suo Costruttivismo  basato sulla capacità di: “...un sistema che poteva far incontrare le componenti razionali (costruttive) con quelle istintive (preistoriche), cercando di includere termini moderni  allontanandosi così dallo stile classicista.“ [vi]